Incontro con la fondatrice e direttrice della rivista che si batte contro la mafia. E dove le donne sono protagoniste

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 Una storia di giornalismo militante, di editoria e imprenditoria al femminile e femminista. Un’impresa quasi unica nel suo genere che nasce nella Catania di Ciancio e del pluralismo dell’informazione negato. Nel capoluogo etneo, come in buona parte della Sicilia orientale, la pagina siciliana del quotidiano La Repubblica manca da sempre. Il quotidiano, stampato negli stabilimenti grafici catanesi dell’editore Mario Ciancio, proprietario de La Sicilia, arriva nelle edicole di Ragusa e Catania senza la cronaca siciliana. Per averla bisogna recarsi a Messina o a Palermo, oppure comprare La Sicilia o affidarsi alle emittenti tv locali, anch’esse nell’impero Ciancio. Il “cavaliere” – oggi sotto processo per vari reati, non ultimo concorso esterno in associazione mafiosa – faceva il bello e il cattivo tempo. Era l’incarnazione del potere e la sua “informazione” era una specie di cappa di piombo che teneva in ostaggio la città. In questo clima, nel maggio 2006, nasce una casa editrice (Le Siciliane) e una rivista controcorrente con una connotazione d’intenti chiara e definita già nel nome: Casablanca. Rivista antimafia. «Le origini sono strettamente legate alla rivista I Siciliani fondata e diretta da Pippo Fava, il giornalista assassinato dalla mafia a Catania il 4 gennaio del 1984» racconta Graziella Proto, fondatrice e direttrice del mensile Casablanca. Che prosegue così: «Le intenzioni sono sempre state chiare: fare la lotta alle mafie continuando a camminare nel solco della storica rivista, ma cambiando pagina da quella vicenda dolorosissima. “CASABLANCA” voleva indicare proprio questo, che eravamo altro anche se nello stesso solco». Nata come mensile cartaceo distribuito nelle edicole, oggi è distribuito soltanto online in pdf e si presenta come “un’iniziativa editoriale al femminile, non preclusa alla collaborazione degli uomini, che possono anche svolgere incarichi di rilievo all’interno della struttura, ma caratterizzata da una partecipazione maggioritaria di donne, con l’inclinazione e la sensibilità che ne consegue”. «All’assassinio di Fava – continua – seguirono anni di grandi sacrifici, delusioni e umiliazioni. Serviva un momento di riscatto. Collaborai con Enzo Biagi, Sandro Curzi, Antimafia duemila, Avvenimenti, Isola Possibile, ma da più parti mi si chiedeva di fare un giornale mio. Così nascono Le Siciliane. Per ricordare da dove venivamo e perché ogni mese in ogni numero c’era il ritratto di una siciliana che meritava di essere ricordata e aggiunta alla storia. Un mio appuntamento, impegno e ricerca». Dare voce alle siciliane e alla Sicilia, anch’essa femmina. «Lo spazio sicuramente è troppo poco e le storie da raccontare sarebbero tantissime. Oggi, devono essere le donne a raccontare le donne. Gli uomini ci hanno già provato e a dire la verità ci tentano ancora. Non è un giudizio negativo, ci sono esempi di buon giornalismo e anche di belle canzoni sulle donne realizzate da uomini. Mosche bianche. Solo un’altra donna può percepire le emozioni interne di una donna che si racconta o una donna che ha bisogno di essere raccontata. Gli spazi sono pochi, l’editoria delle donne, per le donne, sulle donne, quasi inesistente. Non sono solo gli uomini che non credono nelle capacità delle donne (perché abbiamo capacità poliedriche, sfaccettate, complesse), sono le donne che non credono nelle donne. È lì che bisogna insistere. Questa nuova ventata di femminismo è una manna caduta dal cielo». Accolta con non poco scetticismo anche nell’ambiente dell’antimafia in cui – purtroppo ancora oggi – per alcuni sono “cose da maschi”, nella legalità come nell’illegalità. «Una donna che dirige una rivista contro le mafie? “Perché no?”, mi sono detta e urlato contro chi bonariamente mi sconsigliava. Ma è stato difficile. Per molti anni ho usato la forma “direttore Graziella Proto” perché volevo sfidare gli uomini sul loro territorio, non so se è stata una sciocchezza. Ho sempre dovuto dimostrare. All’inizio nello stesso numero c’erano anche due inchieste realizzate da me, a volte scrivevo con pseudonimi. Non bastava, per tanti non era il mio giornale. Ma non era importante, bisognava portare avanti la memoria e l’eredità dell’esperienza editoriale e formativa di Giuseppe Fava. Un marchio indelebile per tutti coloro che lo hanno incontrato sulla loro strada e lo hanno avuto come maestro». La ricetta per la resistenza? Passione, cautela nel cercare una verità che non sarà mai davvero completa, dedizione nello studio, pazienza e umiltà. Crederci e crearsi gli strumenti e le opportunità. Un maschio non glieli offrirà mai. L’ho sperimentato sulla mia pelle, la strada è in salita e piena di ostacoli. Da donna molto politicizzata non l’ho mai sopportato. Non ho scelto di fare la giornalista, ho scelto la lotta: lottare contro le mafie e ogni tipo di patriarcato. Schierarmi dalla parte di chi non ha diritti né voce. Avere la possibilità di dire qualcosa di tutto ciò che gli altri e soprattutto il quotidiano locale non diceva o taceva o nascondeva. Il mio è un giornalismo militante».

Graziella Rapisarda Proto 

Biologa col sogno di diventare oncologa, intraprende la carriera universitaria. Lavora per undici anni come ricercatrice precaria all’università di Catania non rinunciando all’impegno politico e sociale nel PCI, in particolare sui temi della criminalità. Prima donna eletta in consiglio comunale a Paternò.   Ad un convegno l’incontro che le cambierà la vita:  Giuseppe Fava. Inizia a collaborare con  I Siciliani da esterna fino a quando il 5 gennaio 1984 Fava viene ucciso dalla mafia. Quel giorno abbandonò la carriera universitaria per quella giornalistica nella redazione de I Siciliani. Eletta presidente della cooperativa, al fallimento del giornale nel 1990 ne ereditò debiti e oneri. Nel 2001, insieme a Riccardo Orioles e a un gruppo di cronisti impegnati, fonda la rivista Casablanca – Storie dalle città di frontiera.

di Valentina Ersilia Matrascia

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